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Il mio viaggio per Rio - Seconda parte

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>> Leggi la prima parte de “Il mio viaggio verso Rio 2016”

Due anni dopo aver deciso di voler diventare una campionessa paralimpica a qualunque costo, mi si presentò la prima opportunità che stavo cercando. Dopo molte ore in palestra ogni giorno e facendo domanda alle varie università con squadra di pallacanestro in carrozzina, per avere così la possibilità di ricevere una buona preparazione, ottenni una borsa di studio per l’Università dell’Illinois ed entrai a far parte della squadra. Questo fu un passo enorme per il mio viaggio verso Rio.

Giocai per l’Illinois per i successivi cinque anni. L’allenamento era tosto, ma imparai tantissimo. La forza delle braccia è fondamentale, quindi per i primi due mesi ci allenammo facendo su e giù per le rampe dello stadio di football. La squadra si allenava insieme tre giorni alla settimana; iniziavamo alle 6.30 del mattino, da lunedì a venerdì, da Agosto fino ad Aprile.

Certe mattine le dure condizioni meteo di Illinois portavano le temperature sotto lo zero e dovevamo destreggiarci per andare agli allenamenti, prima che i marciapiedi venissero spalati. Facevamo tutto questo intanto che seguivamo anche lezioni a più non posso e studiavamo tutta la notte per i test mentre tutti gli altri studenti partecipavano a qualche festa.

Durante i weekend, riempivamo l’autobus con dozzine di ragazzi e ragazze con le proprie carrozzine sportive e quelle della vita quotidiana, affrontando tra le dieci e le venti ore di viaggio, per partecipare a varie competizioni, durante le quali giocavamo quattro o cinque partite.

Due anni dopo feci un provino per lo USA Development Team e lì raggiunsi un livello totalmente diverso di impegno nella mia vita. Allenarsi per e con il Team USA richiedeva tantissimo tempo, forza ed energie. Non solo avevo già i miei allenamenti con la squadra dell’università tutti i giorni della settimana, ero anche carica di lezioni da seguire, allenamenti di forza e preparazione, relazioni con famiglia e altre persone da mantenere e, soprattutto, soffrivo ancora di depressione, con la quale mi toccava combattere ogni singolo giorno.

Dalle partite locali alla squadra olimpica

Il Team USA ha un programma di allenamento decentralizzato. Questo significa che, dato che la nostra squadra aveva gente proveniente da tutto il Paese, una o due volte al mese ci accompagnavano in aereo in uno dei tre centri di allenamento: Colorado Springs, in Colorado, Lake Placid, nello stato di New York o l’Alabama Lakeshore Olympic & Paralympic Training Center.

Una volta giunte lì, trascorrevamo insieme da quattro giorni a due settimane facendo due o tre sessioni di allenamento al giorno, oltre a collaborare con lo psicologo e il nutrizionista del team, lavorando sull’affiatamento, analizzando video e parlando dei piani di gioco. 

Quando non stavamo insieme, eravamo impegnate nel “sistema d’onore”, secondo il quale si hanno un certo numero di tiri e allenamenti di forza e condizione fisica da completare secondo i propri tempi e da riportare poi

ai nostri allenatori ogni settimana. Ci furono tantissime volte in cui non volevo neanche alzarmi dal letto, dopo essere arrivata nel mio appartamento con alle spalle tre ore di allenamento di prima mattina con la squadra dell’università e l’unica cosa che volevo fare era tornare a dormire.

Frequentando lezioni, studiando e scrivendo tesine, tornare poi in palestra ad allenarmi per il “sistema d’onore” personale era l’ultima cosa al mondo che avevo intenzione di fare. Ma rimasi concentrata sul mio obiettivo.

Ogni giorno ricordavo a me stessa il motivo per cui stavo facendo tutto questo, cosa volevo nella vita e le cose che sapevo che sarebbero accadute se non mi fossi arresa. Pensai a quel senso di rimorso che non avrei più voluto provare in vita mia; quel rimorso che mi accompagnava dal mio passato, insieme a tutti quei rimorsi che avrei avuto in futuro in base alle mie scelte.

Pensai al modo in cui le persone mi guardavano i primi anni dopo l’incidente; tutta quella pietà che provavano nei miei confronti perché avrei dovuto vivere tutto il resto della mia vita su una carrozzina.

 
Non volevo dar loro la possibilità di guardarmi di nuovo con quello sguardo pieno di compassione. Volevo assolutamente dimostrare, non solo a me stessa ma a tutto il mondo, che il fatto che fossi su una carrozzina non voleva dire che la mia vita fosse finita. Niente e nessuno mi avrebbe convinta ad abbandonare il mio obiettivo di arrivare ai Giochi Paralimpici.

 

Alla fine ce l’ho fatta

Ho fatto esattamente quello che mi ero prefissata ed è successo proprio quello che mi ero detta. Non vivo più con quel rimorso proveniente dal mio passato e ho dimostrato a tutto il mondo e a me stessa che posso fare qualsiasi cosa.

E sono stata fortunata a far parte di qualcosa di veramente stupendo; non sono solo arrivata ai giochi Paralimpici, l’ho fatto anche con un gruppo di donne straordinarie che non mi sarei mai immaginata di avere come compagne di squadra. Insieme abbiamo superato gli innumerevoli ostacoli che si sono presentati durante tutto il percorso e abbiamo dimostrato al mondo cosa possono fare il duro lavoro e tanta determinazione… vincendo addirittura l’oro.

Sono fortunata e lo so bene. Avevo ragione quando, dieci anni fa, dissi a un giornalista che l’incidente era avvenuto per un motivo e che mi avrebbe resa più forte. Sono veramente felice che sia accaduto a me.

L’AUTRICE

Medaglia d'oro ai Giochi Paralimpici, Megan Blunk vive attualmente a Gig Harbor, Washington. Poco dopo la maturità restò parzialmente paralizzata in un incidente in moto.

Megan ha ottenuto una borsa di studio per giocare a pallacanestro in carrozzina presso l'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign, dove ha conseguito la laurea in Psicologia e dove presto terminerà il master in Scienze Sociali.

Ama aiutare i bambini e gli adulti che stanno affrontando le proprie sfide. Dopo il suo incidente, Megan ha gareggiato in competizioni di kayak e di canoa, vincendo due medaglie d'argento per gli Stati Uniti ai Campionati del Mondo di Paracanoa Velocità della International Canoe Federation nel 2013 a Mosca, in Russia, finendo quarta nelle sue due gare. Nel 2015 ha vinto una medaglia d'oro con la squadra femminile americana di pallacanestro in carrozzina ai Parapan Am Games di Toronto.

Diventare un membro della squadra americana per i Giochi Paralimpici di Rio 2016 è stato l’obiettivo di Megan negli ultimi anni e vincere la medaglia d'oro è stata certamente la ricompensa per il suo duro lavoro e per la sua grande determinazione. Il carattere, l'integrità e la passione di Megan la rendono la miglior ambasciatrice che gli Stati Uniti possano desiderare.

  Megan utilizza una Quickie 7R (Quickie Helium Freestyle in Europa). La sua carrozzina sportiva è una Quickie All Court.